Seppure impropriamente, sono chiamati dublinanti i richiedenti protezione internazionale che vengono rinviati allo Stato in cui hanno chiesto la protezione internazionale, a seguito di una richiesta per ottenere analogo riconoscimento in uno Stato diverso da quello in cui è stato richiesto la prima volta.
La materia è regolata dal Regolamento “Dublino II” (CE) n. 343/2003, che ha sostituito la Convenzione di Dublino del 1990, il cui obiettivo è prevenire il moltiplicarsi delle domande di asilo, definendo i criteri per i quali un unico Stato membro è competente e quindi incaricato di esaminare la domanda di asilo. Il sistema si basa sul database europeo delle impronte digitali EURODAC, nel quale sono raccolte le impronte digitali dei richiedenti l’asilo, attraverso il quale è possibile determinare rapidamente se una persona ha già presentato più domande di asilo in altri Stati membri dell’UE e, in caso, ricondurla verso il Paese incaricato della procedura.
A stabilire come debbano comportarsi gli Stati membri è il Regolamento di Dublino (604/2013) che definisce i “criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide”. Il testo prevede che i migranti, una volta rintracciati e identificati in un qualunque Stato dell’Ue, possano essere rimandati indietro nel paese in cui è avvenuto il primo ingresso in Europa. E’ a questi paesi, infatti, che spetta sia valutare la domanda d’asilo sia farsi carico dell’accoglienza degli stranieri fino all’esito della procedura.
La prassi che si è consolidata negli ultimi anni tra Italia e Germania – visto che non esiste alcun accordo ratificato a livello politico – prevede che i tedeschi possano rimandare nel nostro Paese, ogni mese, un gruppo di massimo 50 dublinanti su due aerei. In tutto il 2018, però, la media di quelli rimandati in Italia è di 25 persone. I migranti vengono imbarcati su piccoli aerei che i tedeschi chiamano ‘dedicati’ sui quali sale, oltre agli stranieri, il personale delle forze di polizia. C’è, infine, un altro elemento: il Regolamento di Dublino prevede che gli Stati membri che intendono rimandare i migranti nel paese di primo approdo, hanno tempo 6 mesi per completare tutte le procedure. Se però, scaduti i 180 giorni, non è stato portato a termine l’iter per l’identificazione o lo straniero non si è presentato alla convocazione delle autorità, hanno l’obbligo di tenerli.